Con Emanuela Maisano nei mitici Abbey Road Studios

Con Emanuela Maisano nei mitici Abbey Road Studios

All’interno del programma della sera di R101, Emanuela Maisano ci ha condotti in un viaggio nell’evoluzione tecnologica della musica dagli anni ‘60 ad oggi e ha ospitato Marta Maria Di Nozzi e Marta Salogni, due ingegnere del suono volate a Londra per lavorare negli studios resi celebri dai Beatles.
Ascolta l’intervista per conoscere il loro percorso e rimanere informato sui corsi di producing e mixing per chiunque sogni di intraprendere la carriera di tecnico del suono.

Marta Maria Di Nozzi

 Marta Maria Di Nozzi

Marta Maria Di Nozzi

 Marta Maria Di Nozzi

Marta Salogni

Marta Salogni

Marta Salogni

Marta Salogni

Gli Abbey Road Studios, originariamente chiamati EMI Studios, hanno preso il nome dello storico album dei Fab Four, la cui foto di copertina doveva essere inizialmente uno scatto in Asia, ai piedi del Monte Everest.
Ma l’impazienza di concludere il disco e la foga degli ultimi giorni, portò Paul McCartney ad avere una brillante idea: uscire e fare uno scatto proprio lì, su due piedi.
Dal 1969 gli studi hanno preso il nome dell’iconico album della band immortalata mentre attraversa le strisce pedonali.

Le loro mura hanno visto nascere le canzoni dei più grandi artisti di sempre come Queen, Pink Floyd, Spandau Ballet, Simple Minds, The Police, Oasis, Coldplay, Kylie Minogue, Ennio Morricone, OneRepublic e le colonne sonore di film come Brave Heart, Eyes Wide Shut, Guerre Stellari, Signore Degli Anelli.

Il viaggio per raccontare l’evoluzione tecnologica della produzione musicale è partito con i Beatles. La band più importante della storia della musica.

Pionieri di moltissime sperimentazioni nei suoni, furono i primi a creare il cosiddetto concept album: non un semplice e “asciutto” resoconto di canzoni, ma una registrazione di suoni tra una canzone e l’altra senza soluzione di continuità.

Uno dei primi esempi di mixaggio, realizzato peraltro con strumenti molto proibitivi (per registrare le cosiddette sovrascrizioni sui nastri degli anni ’60 ci voleva tanta pazienza, tanto ingegno e infinita bravura tecnica).

Il 1969 fu un anno cruciale per la storia del mondo: il primo passo dell’uomo sulla luna.

Anche la musica subì il fascino della conquista dello spazio e iniziò ad utilizzare tecnologie che permettessero di evocare suoni spaziali.
Ad offrire alla prima spedizione sulla luna la colonna sonora perfetta fu uno degli artisti più visionari di sempre, David Bowie.

Nove giorni prima della missione, il Duca Bianco pubblicò una canzone i cui suoni furono realizzati con uno strumento giocattolo con cui si divertiva a sperimentare: lo stilofono.

Fu proprio quel piccolo segnale innescato da elettrodi a far fluttuare Major Tom nella sua passeggiata spaziale. Il resto è storia.

A New York, negli anni ’70, c’era chi nel Bronx tentava di sfuggire alla criminalità partecipando a feste di musica hip hop. Fu proprio durante quei party che il dj Grandmaster Flash diede vita allo scratch (ovvero alla tecnica di mixare due dischi in vinile con un utilizzo poderoso della puntina del giradischi).

Mentre nelle periferie si cercava di sopravvivere, a downtown ci si godeva la vita nei disco club, ballando avvolti da tutine super-scintillanti.

Giorgio Moroder, talentuoso musicista altoatesino ormai diventato guru della disco music, si divertiva a sperimentare con il sintetizzatore, un innovativo strumento elettronico in grado di generare imitazioni di strumenti musicali ma anche di creare suoni ed effetti non esistenti in natura.

Fu il primo nel 1977 a far suonare solo col sintetizzatore, senza archi né strumenti, una canzone. Il disco era il grande successo di Donna Summer, I Feel Love.

Era il 1995 quando un ingegnere in pensione, che aveva prestato servizio per molti anni per un’azienda petrolifera, si rese protagonista di un’invenzione a cui i trapper di oggi devono dire grazie.

Chiacchierando durante un pranzo tra amici, il signor Andy Hildebrand chiese “quale invenzione fosse utile nel campo delle tecnologie musicali?”. Un amico ribatté scherzando “una scatolina che mi faccia cantare intonato”.

Ma l’ingegner Hildebrand non scherzava affatto.
Si mise al lavoro inventando quello che tutti oggi conoscono come Auto-tune.

La prima ad utilizzarlo, non senza lo sdegno di molti critici, fu Cher, nella canzone Believe.

Questo viaggio nell’evoluzione tecnologica della musica non poteva che chiudersi con quello che è attualmente uno dei modi più semplici e più attuali di produzione musicale: il software digitale.

Oggi con un’interfaccia grafica semplice e intuitiva possiamo fare praticamente qualsiasi cosa, quindi anche la musica.

I più importanti dj internazionali, per i loro dj set, girano con un computer, qualche hard disk performante e poco altro.

Così fanno i DAFT PUNK, che con i software digitali sono tra gli artisti che giocano di più, sperimentando e creando sonorità nuove e irresistibili.

Ma ora che siamo giunti fino a qui, la domanda sorge spontanea: quale sarà la prossima tecnologia a condizionare il modo di fare musica?

L’Intelligenza Artificiale sarà forse in grado di sostituire gli artisti in carne e ossa?

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