La città dei profughi: verso Leopoli e ritorno

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leopoli stazione

Dall’inizio dell’invasione russa del 24 febbraio stiamo assistendo al più grande esodo mai visto dopo la seconda guerra mondiale. I numeri di questo evento sono straordinari e l’impatto devastante, con alcuni luoghi diventati vere e proprie città dei profughi. Per questo motivo le istituzioni hanno mobilitato misure senza precedenti.

Ma prima delle decisioni politiche e delle programmazioni organizzative e finanziarie questa migrazione è costituita soprattutto dalle persone che organizzano e compiono i viaggi. Le storie che racconta il fenomeno della protezione internazionale permettono di conoscere i significati più crudi e basilari della guerra, e dunque dell’umanità: la paura, la tristezza, l’impegno civico, il coraggio, la rabbia, la solidarietà.

di Alessandro Luciano

IL VIAGGIO 

gorizia leopoli
Il tragitto Gorizia-Leopoli compiuto dai volontari italiani

Alle 6 del mattino del 31 marzo una carovana di 60 mezzi, tra furgoni e pullman, si ritrova a Gorizia. Quasi 200 persone appartenenti alle associazioni nazionali del terzo settore italiano sono pronte a dirigersi verso Leopoli (Lviv), dove parecchie centinaia di profughi li aspettano per trovare rifugio in Italia. 

Il viaggio è lungo e faticoso: nell’arco di poco meno di 24 ore la carovana attraversa tutta la Slovenia in larghezza, prima di deviare verso nord e risalire la grande pianura ungherese. Per centinaia di chilometri sono le coltivazioni di frumento, segale e patate a costellare il piatto paesaggio che si snoda tra Ungheria e Slovacchia fino al confine con la Polonia, da cui si svolta verso est, dove si trova il confine con l’Ucraina.

Intorno alle 4 del mattino del 1 aprile si arriva alla frontiera, nei pressi di Medika. La fila di macchine si snoda per chilometri, le procedure d’ingresso sono lunghe, i controlli attenti. Servono altre 5 ore prima di riiniziare il cammino, diretti verso Leopoli. In Ucraina il paesaggio cambia e racconta di una nervosa quietezza, il traffico è meno intenso e di tanto in tanto si incontrano posti di blocco. Non si mostrano però segni di combattimenti o bombardamenti, la parte occidentale del paese è infatti quasi incolume, ma la tensione resta alta. 

LEOPOLI

la città dei profughi_Leopoli
Davanti alla stazione centrale di Leopoli. Ucraina, 3 marzo 2022. (Dan Kitwood, Getty Images)

La prima destinazione all’arrivo a Leopoli è un magazzino, dove i furgoni e i pullman vengono scaricati dai beni di prima necessità portati dall’Italia. Sbrigata questa incombenza ci si dirige verso un seminario, dove le autorità e le organizzazioni coinvolte in questo viaggio si incontrano per onorare le formalità istituzionali e definire i coordinamenti logistici. La partenza è prevista per il giorno successivo, rimane quindi il tempo, prima che scatti il coprifuoco, per fare un giro in città. 

Leopoli è una città antica e rinomata: fondata nel 1256, ha rappresentato nel tempo un crocevia antropologico ricchissimo. Centro di incontro di centinaia di gruppi etnici nel corso dei secoli, le tracce disseminate in città raccontano la storia di queste comunità separate ma interdipendenti. La combinazione più evidente e più affascinante che la storia urbanistica ci regala è quella tra occidente e oriente. Ai numerosissimi palazzi ed elementi scultorei in stile liberty frutto dei decenni asburgici si affiancano i maestosi e razionali elementi architettonici di stampo sovietico. Questa ricchezza umana è valsa al centro storico di Leopoli il riconoscimento UNESCO di patrimonio mondiale dell’umanità nel 1998.

“A girare per Leopoli non si ha l’impressione immediata di essere in una città in guerra” dice Stefano Kovac, presidente di ARCI Genova, “ma non passa molto tempo prima di notare la presenza di uomini armati ed imbattersi nel divieto di bere alcolici o fare fotografie”. La città però, sebbene provi a mantenere una parvenza di normalità, ha comunque un carico molto ingombrante da assorbire: “è come una doppia città, nella prima i suoi abitanti proseguono le routine quotidiane, nella seconda la città dei profughi testimonia potentemente la realtà della guerra”

Questa seconda città è situata in prevalenza nei dintorni della stazione, diventata al contempo campo profughi e centro delle partenze. La normale attività dei treni è ferma, e tutti gli spostamenti che ruotano attorno a questo luogo dipendono dalle esigenze di chi fugge. “la stazione è una città nella città, l’ingresso nell’area è libero e dentro ci si possono trovare banchetti in cui si fanno affari e una divisione in zone composte da persone della stessa città o dirette verso lo stesso posto. Per chi non è già organizzato con appuntamenti il flusso delle partenze è gestito da volontari, che propongono ai profughi alcune soluzioni a seconda delle possibilità del momento. In questo modo le donne e i bambini in fuga sono costretti a scegliere istantaneamente, senza possibilità di organizzarsi e con la prospettiva di affidarsi alle persone sbagliate o di perdere l’unica possibilità buona”.

Non è possibile tenere sotto controllo questo secondo flusso: per i fortunati che hanno trovato qualche organizzazione seria è previsto un appuntamento preciso, un itinerario definito e una destinazione certa; è il caso delle persone che la carovana italiana è andata a recuperare. Per gli altri si prospetta tutta l’instabilità della fiducia accordata a chi non si conosce in situazioni di vulnerabilità, con tutti i rischi connessi a questa condizione.

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Alla stazione ferroviaria di Lviv la gente si accalca su un treno diretto in Polonia. Foto: Vincent Haiges (dpa)

LA PARTENZA

La mattina del 2 aprile l’appuntamento è ancora presso la stazione di Leopoli, dove più di 350 donne e bambini vengono caricate nei mezzi delle associazioni del terzo settore italiane. Tra questi circa 200 sono partiti il giorno prima da un centro di ricovero per diversamente abili di Kharkiv, una delle città più bombardate. Più di 90 di essi sono presi in carico dall’ARCI e 4, tra cui due con un quadro clinico molto grave, si trovano a Genova.

Per le 10:30 si parte da Leopoli con direzione Verona, dove la carovana si fermerà per la notte e si scioglierà, ogni mezzo diretto verso la propria destinazione. È un viaggio lungo che dura più di 12 ore e si snoda tra Polonia, Slovacchia, Repubblica Ceca e Austria. Una docile e intermittente pioggia accompagna il passaggio tra le pianure orientali e le Alpi, facendo da morbido sottofondo alle travolgenti emozioni condivise con parole silenziose, lette negli schermi degli smartphone grazie ai traduttori automatici.

In ogni furgone c’è qualcuno al quale il domani regalerà nuove opportunità, occasioni di riscatto e di ricordo, forse con lo sguardo sempre rivolto verso il ritorno alla casa forzatamente abbandonata. In ogni furgone c’è qualcun altro al quale il domani regalerà il ritorno alla normalità dopo un’esperienza eccezionale, forse condita da un nuovo orgoglio, di chi sa di aver fatto il giusto. Domani è un altro giorno, si vedrà.

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