La conservazione della natura in Africa sarà progettata a Kigali

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Il vertice continentale mira a impegnarsi nella conservazione della natura in Africa, arrestando la perdita di habitat e specie nelle aree protette.
Il vertice continentale mira a impegnarsi nella conservazione della natura in Africa, arrestando la perdita di habitat e specie nelle aree protette.

Il primo incontro a livello continentale per la conservazione della natura in Africa mira a definire piani per arrestare e invertire la perdita di habitat e specie nelle aree protette terrestri e marine.

The Guardian (tradotto da Alessandro Luciano)

Il vertice continentale mira a impegnarsi nella conservazione della natura in Africa, arrestando la perdita di habitat e specie nelle aree protette.
Una delle presentazioni al Congresso delle aree protette dell’IUCN in Africa si concentrerà sulla riduzione delle emissioni da deforestazione e degrado forestale. Fotografia: Apac2022

I leader africani si raduneranno nella capitale del Ruanda questa settimana per il primo vertice continentale, con l’obiettivo di delineare i piani per la conservazione della natura in Africa.

L’incontro dell’ IUCN Africa Protected Areas Congress (APAC) a Kigali attirerà circa 3 000 delegati, compresi i direttori delle aree protette provenienti dai 54 paesi del continente, giovani leader e rappresentanti delle comunità indigenne. Si discuterà del ruolo delle aree protette nella conservazione della natura, nella proomozione di uno sviluppo sostenibile e nella salvaguardia della fauna selvatica del continente.

Il meeting, guidato dal primo ministro del Ruanda Edouard Ngirente, delineerà strategie a lungo termine per arrestare e invertire la rapida perdita di specie e habitat nelle oltre 8.500 aree protette africane, che coprono il 14% della terraferma e il 17% dell’area marina. Secondo un rapporto delle Nazioni Unite, in Africa 6.419 specie animali e 3.148 specie vegetali sono a rischio di estinzione.

La popolazione africana, che conta 1.3 miliardi di persone, sta esercitando pressione sugli habitat selvatici. Secondo Kaddu Sebunya, amministratore delegato della African Wildlife Foundation, le aree protette ben amministrate offrono l’ultima speranza di salvaguardare la fragile biodiversità del continente.

Sebunya ha dichiarato che “la crescita della popolazione comporta un aumento della domanda di terra, l’uso e l’estrazione di risorse naturali non sostenibili e una governance ambientale inadeguata. Il continente rischia di perdere una parte significativa del suo valore di biodiversità nell’immediato futuro.”

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La salvaguardia della fauna selvatica del continente sarà una parte fondamentale delle discussioni del congresso di questa settimana. Fotografia: Apac2022

Inoltre ha aggiunto: “È vero che molte specie e popolazioni vivono al di fuori delle aree protette, e anche che la presenza dii alcune popolazioni selvatiche e comunità naturali stanno declinando nonostante la protezione. Eppure una buona amministrazione delle aree protette continua ad essere il più efficace metodo di salvaguardia della biodiversità. Dobbiamo implementare nuove strategia di conservazione per cambiare la nostra prospettiva presente”.

L’Apac arriva subito dopo un ulteriore round di negoziati tenuto a Nairobi dalle Nazioni Unite sulla biodiversità, con il proposito di definire gli obiettivi da concordare alla Cop15 di Montreal a dicembre. Uno dei problemi che ha diviso i negoziatori a Nairobi, e che verrà dibattuto anche a Kigali, è la praticabilità del tentativo di espandere al 30% le aree protette del pianeta.
Luther Anukur, il direttore regionale per l’est e il sud del continente africano dell’IUCN, ha detto che la valorizzazione e la conservazione della natura sono fondamentali, ma non sarà mai abbastanza dato che “abbiamo bisogno di una governance efficace ed equa e di soluzioni basate sulla natura per affrontare non solo le due sfide ambientali più urgenti, il cambiamento climatico e la perdita di biodiversità, ma anche per invertire la povertà dilagante e la conseguente disuguaglianza

Ai colloqui sono attese popolazioni indigene da tutta l’Africa. Fotografia: Apac2022

Una dimensione chiave delle discussioni di questa settimana riguarderà il bisogno di trovare nuove risorse per finanziare le aree protette dell’Africa. Molte di queste sono conosciute con il nome di “parchi di carta” perché sono sottofinanziati, inadeguatamente amministrati e incapaci di soddisfare gli obiettivi di conservazione e sviluppo. La speranza è che i leader ratificheranno la formazione un fondo fiduciario di conservazione Pan-Africano (A-Pact), un’organizzazione che mira a integrare gli stanziamenti di bilancio dei governi con flussi di entrate dipendenti dai siti e dai servizi basati sulla natura degli ecosistemi, come quelli legati al turismo.

L’A-Pact chiede 200 miliardi di dollari per un fondo fiduciario che “garantirebbe un finanziamento sufficiente e sostenuto in perpetuo per tutte le 8.500 aree protette e conservate dell’Africa”. Secondo l’Apac, attualmente l’Africa spende meno del 10% del necessario per proteggere e ripristinare la natura. Si stima che la gestione di un chilometro quadrato di un’area protetta costi da 380 a 1.000 dollari (da 320 a 845 sterline), che significa che per tutte le aree protette il costo annuale si aggira tra i 2,6 e i 6,7 miliardi di dollari. Oggi sono disponibili solo 50 dollari per ogni chilometro quadrato.
L’ex primo ministro etiope Hailemariam Desalegn, patrocinatore dell’Apac, ha dichiarato: “Le aree protette e conservate sono la spina dorsale delle infrastrutture naturali dell’Africa. I leader africani dovrebbero unirsi per garantire che i negoziati globali producano investimenti verso un futuro resiliente e sostenibile per l’Africa

Ci si aspetta anche che il vertice si confronti con il ruolo chiave giocato dalle comunità indigene locali nella protezione della biodiversità. Nonostante sia noto ed evidente che le popolazioni indigene siano i migliori guardiani della fauna e della flora selvatica, per molte di esse non esiste alcun riconoscimento legale di diritti rispetto al rapporto tra loro e le terre in cui vivono. Almeno il 50% delle terre emerse del mondo sono occupate da “comunità basate su regimi consuetudinari”, ma le stime dicono che il riconoscimento legale delle proprietà è limitato ad appena il 10% 

Sullo sfondo dei colloqui diplomatici tra governi e rappresentanti si stagliano i violenti scontri tra popolazioni Maasai e forze di sicurezza nella vicina Tanzania per il diritto di occupare le terre ancestrali a Loliondo, che confina con il parco nazionale del Serengeti.
Al congresso sono attese popolazioni indigene da tutta l’Africa, tra cui gli Ogiek in Kenya, le comunità Batwa e Benet in Uganda e i Maasai di Simanjiro in Tanzania.

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