Curiosità

Perché re Carlo III è proprietario di tutti i cigni del Regno Unito?

Dal Medioevo, i sovrani inglesi possiedono tutti i cigni che nuotano liberi nelle acque pubbliche, senza essere marchiati. Il motivo di questa prerogativa reale è che il maestoso volatile veniva considerato un piatto prelibato.

La storia del perché re Carlo III d'Inghilterra possiede tutti i cigni del Regno Unito risale al Medioevo. Secondo un'antica tradizione, infatti, questi eleganti volatili, simbolo di ricchezza e maestosità, appartengono alla Corona che, da secoli, se ne prende cura. In realtà non li possiede proprio tutti, ma solo i cigni reali che nuotano liberi in acque pubbliche e che non sono stati marchiati.

Come racconta David Barber, lo Swan Marker (marcatore di cigni), che ha lavorato circa trent'anni per la regina Elisabetta II (1926-2022), oggi passato alle dipendenze di Carlo III: «Il re detiene il diritto di rivendicare la proprietà qualsiasi cigno che nuoti in acque aperte, senza contrassegno: è un'antica prerogativa reale». Un retaggio medievale che resiste ancora oggi: cacciare un cigno reale, infatti, è illegale, chi lo uccide non verrà giustiziato nella Torre di Londra, come un tempo, ma andrà incontro a sanzioni penali.

Monopolio reale. La tradizione di attribuire la proprietà dei cigni reali alla Corona inglese risale al XII secolo, quando, per garantire una quantità di carne sufficiente nei frequenti banchetti previsti in occasione delle festività a corte, i sovrani avevano uno stormo reale di cigni e commissari ufficiali incaricati di curarne la proprietà.

A partire dal 1400, però, iniziò la prassi per cui i cigni reali potevano essere riscattati da quei nobili in grado di pagare una franchigia. Così per distinguere i cigni "nobili" da quelli "reali", si applicò la regola per cui sui loro becchi veniva inciso un simbolo per indicare l'appartenenza a una determinata casata. Così ogni estate, oggi la terza settimana di luglio, per evitare dispute sulla proprietà degli animali, lo Swan Master (che oggi ha preso il nome di Swan Warden, guardiano dei cigni), un commissario nominato dai regnanti, verificava i marchi e definiva Royal Swan (cigni reali) tutti quegli esemplari che non appartenevano a nessun altro.

Status symbol. Ma perché la proprietà di un cigno era così ambita? Sia perché rappresentava uno status symbol sia per motivi culinari. A partire dal Trecento, infatti, il cigno finiva regolarmente sulle tavole, purché si trattasse di mense di rango elevato: nella mentalità dell'epoca, chi stava in alto nella scala sociale doveva nutrirsi con ciò che stava in alto in natura, ossia i volatili.

Usanza cruenta. Negli antichi ricettari si trovano ancora le istruzioni per prepararli: si prelevava dal Tamigi un bel cigno, e dopo averlo lavato e spennato, lo si faceva bollire in una grande caldaia.

Poi si infilzava in uno spiedo e si arrostiva. Si affettavano un paio di cipolle a dadini, soffritte in abbondante lardo, dopodiché si univa il volatile fatto a pezzi. La presenza del cigno sulle tavole più sofisticate durò per secoli, finché, intorno al 1700, il cigno perse la nomea di essere una carne pregiata. Nei secoli successivi si continuò con l'usanza di marchiare i cigni, ma la crudele pratica si interruppe verso la fine dell'Ottocento, quando la regina Alessandra di Danimarca (1863-1910), moglie di Edoardo VII (1841-19109, sancì la fine di questa barbara tradizione.

Il censimento. Oggi che i cigni non sono più sulle nostre tavole, il senso del Swan Upping, il censimento di cinque giorni fatto ogni anno a luglio dagli Swan Upper, sotto la supervisione dello Swan Marker (il marcatore) David Barber e lo Swan Warden (il guardiano dei cigni) l'ornitologo Christopher Perrin, è quello di salvaguardare la specie. Viene applicato a una zampa dell'animale (quella destra per quelli reali, la sinistra per gli altri) un anello dotato di microchip, direttamente collegato con il database del British Trust for Ornithology. Gli esperti del dipartimento di Zoologia dell'Università di Cambridge, infatti, oltre a censire i cigni e visitarli una volta all'anno, monitorano costantemente il regime alimentare e il loro stile di vita in acque, sempre più inquinate, come quelle del Tamigi.

15 maggio 2023 Paola Panigas
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