Per gentile concessione di Andrea Lanfri  

Scalare l'Everest "con tre dita". Andrea Lanfri si racconta

Francesco Stati

L'atleta paralimpico, che ha perso entrambe le gambe e sette dita delle mani a causa di una meningite fulminante, proverà a scalare la montagna più alta del mondo senza ossigeno:  "C’è un vantaggio: non mi si possono ghiacciare i piedi"

Scalare l’Everest si può, anche solo “con tre dita”. Andrea Lanfri, atleta paralimpico e alpinista, proverà a farlo tra aprile e maggio. Nel 2015, il trenatcinquenne lucchese ha perso entrambe le gambe e sette dita delle mani (da qui il titolo della sua missione) a causa di una meningite fulminante con sepsi meningococcica. Oggi, a otto anni di distanza, proverà a scalare la montagna più alta del mondo senza ossigeno: sarebbe il primo nella sua condizione a riuscirci. Andrea è prima tornato a camminare, quindi a correre e infine a scalare. I primi passi nel bosco dietro casa, la prima arrampicata sulle Tre Cime di Lavaredo. Poi il Monte Rosa e il Monte Bianco, l’alto Chimborazo e l’Himalaya, su cui ha già superato i 7.000 metri. Lì ha capito che lo sguardo poteva andare ancora più in alto, sfidando la zona della morte e il tetto del mondo.

"L’idea di questa impresa è nata un po’ per caso, tre anni fa", ci dice al telefono mentre viaggia verso Kathmandu, capitale del Nepal, insieme a Luca Montanari, guida alpina, già compagno di molte avventure, che lo scorterà in vetta. Prima di partire, qualche giorno per acclimatarsi e abituare il corpo all’alta quota. "La causa che ha scatenato un po’ il tutto è stato un invito su una vetta in Ecuador sopra i 3.000 metri: mi hanno cercato perché stavano effettuando uno studio su alcuni atleti e io ero di loro interesse a causa della mia condizione clinica. Raggiunta quell’altitudine ho capito che potevo puntare sempre più in alto, superare i miei limiti. E quindi ho alzato sempre più l’asticella, fino a programmare nel 2020 l’impresa che sto provando a compiere. L’ho chiamata ‘Toccare il cielo con tre dita’ perché quando arrivo in vetta alzo le mani al cielo e sai, avendo solo tre dita…".

Più che autoironia, consapevolezza di limiti e “opportunità” dati dalla sua condizione. "C’è un vantaggio: non mi si possono ghiacciare i piedi. Poi, oltre alle problematiche comuni a tutti gli alpinisti, devo stare molto attento a trattare bene i miei muscoli e i miei monconi. C’è il rischio di tagli, bolle, infiammazioni della pelle, irritazioni dovute alle particolari protesi di cui sono equipaggiato per questa scalata. Devo andare piano e starci molto attento: se mi facessi male in una zona remota, dopo aver camminato per tanti chilometri, poi devo avere autonomia sufficiente per tornare indietro. L’utilizzo delle protesi è più stancante, anche perché mantenere l’equilibrio è impegnativo".

 

Lanfri, però, non è stato solo alpinista. Dopo la malattia, si è cimentato anche nell’atletica leggera, dove detiene ancora oggi il primato italiano su tutte le distanze praticate (100, 200 e 400 metri). Poi, nel 2019, una modifica al regolamento abbassa l’altezza massima che un biamputato può raggiungere reggendosi sulle protesi sportive, privandolo di fatto della possibilità di correre in modo competitivo: la misura massima, infatti, è inferiore alla sua statura prima della malattia. Niente paralimpiadi, dunque, un palcoscenico grazie al quale altri sportivi come lui (pensiamo a Bebe Vio) hanno raccontato le loro storie al grande pubblico. "È stata un’ingiustizia, ci sono stati vari reclami a riguardo. All’inizio ho cercato di provarci lo stesso, poi nel 2019 i miei obiettivi si sono spostati sempre più verso la montagna e alla fine l’alpinismo ha preso il sopravvento e ho abbandonato l’atletica competitiva. Non del tutto, però: qualche volta mi cimento in distanze fondistiche perché sono un ottimo allenamento per ciò che faccio adesso. Diciamo che, anche a causa di un problema di altezza, ora sto facendo un’impresa ‘in altezza’. All’inizio la scelta di rinunciare alle gare è stata una mazzata, ma poi ho capito che correre per quel tipo di obiettivi in una qualche maniera mi frenava. Ora, invece, seguo appieno il mio spirito libero e la mia voglia di avventura, di esplorazione. Inoltre, quello alpinistico è un ambiente fantastico, inclusivo. A me le distinzioni non sono mai piaciute, in questa comunità sportiva vengo trattato come tutti gli altri".

 

Raggiunta la montagna più alta del mondo, Lanfri punta a scalare tutte le massime vette continentali. "Il mio progetto negli anni si è ampliato e ora si chiama My seven summits: voglio arrivare in cima a tutte le montagne più alte del mondo, sarei il primo paralimpico a riuscirci. L’anno scorso ho conquistato il Monte Bianco, a fine agosto ho in programma il Kilimanjaro, poi tutte le altre. Il programma è ancora ricco".

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