il prezzo della privacy

La guerra tra Apple e Facebook sui nostri dati personali

Francesco Stati

Cupertino blocca il tracciamento dei dati e danneggia il business dei social network. Ma non è un'operazione a fin di bene

Se un tempo le big tech combattevano per sviluppare i software migliori, oggi la guerra è sugli algoritmi e sui diritti degli utenti. In particolare, con il mercato delle pubblicità sempre più sensibile alle preferenze individuali e sempre più importante nei bilanci, il terreno di scontro oggi è la privacy. Lo dimostrano gli scandali che hanno colpito Facebook, da Cambridge Analytica ai Facebook Files. La fruizione dei social è gratuita solo superficialmente: il prezzo che paghiamo, è noto, sono le nostre preferenze e i nostri dati personali, raccolti dai social network e “venduti” agli inserzionisti per pubblicità mirate a caro prezzo.

Lo scorso aprile, con la versione 14.5 del suo sistema operativo, Apple ha implementato la App Tracking Transparency (Att), che ostacola il tracciamento dei comportamenti degli utenti iPhone (stimati da Cupertino in più di un miliardo) da parte di terze parti. In poche parole, un blocco che danneggia fortemente i social network: è come se il principale esportatore di petrolio al mondo chiudesse i pozzi e mandasse in crisi le aziende che ne abbisognano. Solo che il petrolio sono i nostri dati sensibili, i pozzi i nostri iPhone e le aziende rimaste a secco Facebook e sorelle.

Un’operazione di impatto: secondo le stime di Lotame, riportate dal Financial Times, Menlo Park avrebbe perso il 13,2 per cento dei ricavi pubblicitari da aprile a oggi, così come Snapchat; Twitter registra un meno 7,4, mentre YouTube perde 7,7 punti percentuali. Le perdite dei social, sommate, ammontano a circa 10 miliardi di dollari. Le concorrenti accusano il colpo: Facebook ha dichiarato che ha avuto crescenti difficoltà a misurare l’impatto delle campagne pubblicitarie sulla sua piattaforma, aggiungendo come molte altre aziende stessero subendo perdite più gravose del previsto a causa dell’iniziativa di Apple. Una dichiarazione che le è costato il 4 per cento del valore azionario, riporta Ft. Gli inserzionisti sono scappati a gambe levate, preferendo investire su altre piattaforme di pubblicità.

Tim Cook, ceo di Apple, si dichiara soddisfatto: “Per noi, la privacy è un diritto umano. Lo facciamo per questo: non c’è un secondo fine”. Eppure, i dati suggeriscono un’altra lettura. Negli ultimi sei mesi, le quote di mercato pubblicitario di Apple sono più che triplicate grazie all’implementazione di Att: ora che Facebook e gli altri non possono indirizzare i propri annunci ai consumatori, perché non ne conoscono i dati, Apple può piazzare le pubblicità che vuole nelle posizioni più privilegiate. Search Ads, in particolare, offre un posizionamento sempre apicale nella ricerca di App Store all’azienda che paga per quel posto, a prescindere dalla parola chiave usata dall'utente. Consci del maggior valore delle sue informazioni per gli inserzionisti, a Cupertino hanno modificato l’erogazione dei dati sulle pubblicità: prima erano in tempo reale e granulari, oggi sono disponibili dopo 72 ore e solo come aggregati. Inoltre, Apple ora offre numeri molto più dettagliati a chi si iscrive al suo servizio di inserzioni.

Gli effetti sul mercato sono enormi: per Branch, oggi il 58 per cento dei download di un’app partono da contenuti sponsorizzati. Un anno fa erano il 17 per cento. Non solo: secondo l’agenzia Evercore Isi, con questa nuova politica Apple potrebbe triplicare i proventi dalle pubblicità, passando da 5 miliardi previsti per quest'anno a 20 miliardi annui entro i prossimi tre (lo riporta Apple Insider). Se nell’ottobre 2019 Cupertino occupava meno del 20 per cento degli spazi inserzionistici, secondo Branch oggi è vicina al 60 per cento del totale, con un incremento repentino da aprile 2021. Ecco dove sono scappati gli inserzionisti: sul nuovo sistema della Mela.