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L’intervista a FRE, il rapper milanese presenta l’ultimo singolo “Sott’acqua”

Il giovane rapper di origini nigeriane FRE si è raccontato a noi di Rumors.it Nato a Chieti e cresciuto a Milano tra la periferia e la città, FRE sente sin da subito l’esigenza di esprimere i suoi pensieri attraverso la musica, quindi inizia a dedicarsi alla sua passione producendo i primi mix tape ed esibendosi […]

di Staff | 15 Febbraio 2021
Foto: Ufficio stampa

Il giovane rapper di origini nigeriane FRE si è raccontato a noi di Rumors.it

Nato a Chieti e cresciuto a Milano tra la periferia e la città, FRE sente sin da subito l’esigenza di esprimere i suoi pensieri attraverso la musica, quindi inizia a dedicarsi alla sua passione producendo i primi mix tape ed esibendosi in piccoli locali e scantinati. Uno stile di scrittura e un genere musicale derivanti dal mondo rap americano a cui è strattemente legato grazie all’altra grande passione: il basket.

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Il suo è un percorso in salita che lo spinge a comprendere che quella della musica potrebbe essere davvero la sua strada. Ad oggi sono infatti tanti i progetti futuri che lo attendo, tra questi un’importante collaborazione internazionale. Il rapper milanese si è raccontato: tra infanzia, musica, nuovi progetti e il suo ultimo singolo “Sott’acqua”.

Foto: Ufficio stampa

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FRE: “Il rap ha successo oggi perché non c’è niente di meglio”

L’inclinazione e la passione per la musicaè nata sin da quando eri bambino, quando hai capito qual’era il genere del rap era quello che più ti apparteneva?

Penso sia stata una cosa istintiva perché quando ero piccolino guardavo questi film afroamericani e quelli di Spike Lee, quindi penso sia stata proprio una naturale propensione. Ero poi legato al mondo del basket perciò questo sport e la musica rap hanno molto in comune e matchano bene insieme. Non penso ci sia una motivazione particolare, è stata una decisione automatica.

Nella tua musica quanto c’è delle tue radici passate e familiari?

In realtà non c’è tantissimo. Mio papà è nigeriano e mia mamma italiana, io sono nato a Chieti, ci siamo spostati per un breve periodo in Belgio – perché mio padre lavorava lì -, e solo in un secondo momento siamo tornati in Italia. Ma sono tornato da solo, nel senso che ho vissuto con mio nonno; tutto quello che ho fatto da piccolo (scuola elementare ecc.) l’ho fatta insieme a lui. Le mie radici quindi sono italiane, dall’Africa non ho nessuna influenza artistica perché semplicemente non ci sono mai stato. Tutto quello che vedo e sento arriva magari dai dischi, ma non da un contatto diretto perché, ad esempio, i miei nonni paterni non li ho neanche mai incontrati, ho parlato con loro solo tramite telefono. Ho poco di questa parte in me però in futuro sicuramente è una componente che voglio approfondire. La contaminaizone vera l’ho avuta trasferendomi a Milano, una città che mi ha sempre affascinato sin da bambino. Qua si respira cultura, musica, moda, c’è sempre gente che ha voglia di fare, è una città che se sai come prendere e sai dove andare ti offre tante opportunità. Penso che Milano sia il posto giusto per fare musica.

Tu che sei all’interno di questo mondo, ti sei fatto un’idea riguardo il motivo per cui il genere rap (e tutto il filone nato da lì) abbia avuto così tanto successo negli ultimi anni?

Penso che, per prima cosa, gli altri generi hanno smesso di fare pezzi interessanti. Ad esempio il rock prima aveva dei contenuti di ribellione, ma probabilmente le ultime cose che hanno fatto non hanno più acchito. I ragazzi più giovani hanno iniziato ad ascoltare questo genere, dagli Stati Uniti è arrivato molto della musica rap, è infatti un genere che avvicina molto i ragazzini. In più non è necessario saper suonare la chitarra, il digitale ci ha portato a fare musica anche da autodidatti, quindi ha aiuto molto i ragazzi a potersi creare un futuro nella musica. Una cosa tira l’altra quindi ed è diventato il genere dominante, perché forse era anche più facile da fare. Molti dicono di farlo per moda – perché in realtà lo fanno un po’ tutti – però poi non è così semplice, nel senso che le tracce competitive hanno del lavoro dietro, bisogna comunque saperle fare le cose. Non tutto quello che arriva dal rap ha dei contenuti seri in quanto ci sono cose molto leggere altre molto buttate lì, quindi diventa più facile farlo e anche imitare. Penso che abbia preso piede principalmente per questi motivi, perché lo possono fare tutti, quindi lo facciamo.

Che cosa racconta il tuo ultimo singolo “Sott’acqua”?

Il pezzo è un po’ malinconico, ma in questa malinconia ho voluto lasciare un messaggio positivo: bisogna uscire da quest’acqua per ricominciare a vivere. L’ho scritto prima che scoppiasse la pandemia, quindi non l’ho fatto uscire per strategia, ma proprio perché anche io effettivamente ero sott’acqua. Alcune cose che dico nel pezzo riguardano anche me, poi, ovviamente, qualcuno può sempre ritrovarsi in quelle parole perché siamo tutti sulla stessa barca. È stato un periodo duro ma già prima vedevo persone che avevano la testa per aria perché vivono pensando sempre ai loro problemi, quindi a quel punto smetti di sognare e i problemi sovrastano tutto il resto. Anche nel video con questo pesce rosso nell’ampolla che viene poi liberato intendo sottolineare il fatto che bisogna tornare a vivere. Quindi liberiamoci di tutto e cerchiamo di spingere un po’ di più.

Quali sono i tuoi progetti futuri?

Ho scritto una traccia stranissima che si chiama “Hamburger”, non so quando uscirà perché la situazione è ancora un po’ incerta nel settore musicale. “Sott’acqua” ha un significato più profondo e introspettivo, mentre “Hamburger” è una traccia più leggera però ha comunque il suo perché. Poi ci sono delle collaborazioni importanti, una anche a livello internazionale in cui abbiamo rifatto lo storico brano “Djobi, Djoba” dei Gipsy Kings che uscirà a brevissimo.

Era nei tuoi piani e sogni da bambino fare il mestiere che fai oggi?

Non sono mai stato uno di quei bambini che dicevano di voler fare l’astronauta. Mi piaceva il basket quindi imitavo anche gli sportivi americani di colore, poi la musica è diventata importante e dopo un po’ è diventata anche una dipendenza, nel senso che non riesci più a farne a meno. Non ci avrei mai pensato però adesso che faccio le cose nella maniera giusta va bene così.

Sara Radegonda

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