La fine del matrimonio è come «un lutto»? L'esperta di relazioni conferma la teoria di Tiziano Ferro

Il cantante ha ufficializzando la separazione dal marito. Ma la fine di un rapporto determina davvero lo stesso processo psicologico di un lutto? Abbiamo approfondito con un'esperta di relazioni
Il post condiviso sui social da Tiziano Ferro
Il post condiviso sui social da Tiziano FerroTiziano Ferro/Instagram

Proprio lui che fa da colonna sonora alla sofferenza amorosa di moltissime persone, si è trovato adesso ad esprimere il suo, ufficializzando con un post sui social la separazione dal marito Victor Allen, dopo 5 anni di matrimonio.

«Non è la fine del mondo. Non è un massacro. Non è un fallimento, se non lo vogliamo. È un lutto», scrive Tiziano Ferro. «Si passa attraverso il dolore ma poi il dolore passa».
Il dolore passa sempre ma ci sono delle variabili da tenere in considerazione. I propri valori, il proprio senso identitario, la definizione forte o debole del sé. Se queste sono forti sarà più facile, se queste sono fragili sarà più difficile. E allora che fare?

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Come si affronta la fine di una relazione è un tema che abbiamo discusso insieme ad Ana Maria Sepe, psicologa sistemico-relazionale esperta di relazioni e autrice del best seller D'amore ci si ammala, d'amore si guarisce.

Tiziano Ferro ha scritto che la fine di una relazione «è come un lutto»? Condivide questa visione?
«Sì, è esatto parlare di lutto. Il dolore della perdita, infatti, attraversa tutti i vissuti emotivi che accompagnano la scomparsa di una persona cara: negazione, rabbia, elaborazione, angoscia e accettazione. Inoltre, scende in campo un altro fattore comune a tutte le perdite: spesso con l’altro va via un pezzetto di sé. Mi spiego meglio. Molte relazioni non vertono su un sano senso di interdipendenza, ma si basano su un legame fusionale. Nell’unirci all’altro, noi ci identifichiamo anche attraverso l’altro. Con la perdita, entro certi termini, anche la nostra identità cambia e dobbiamo imparare a ridefinirci. Con l’altro, talvolta, perdiamo anche noi stessi. La percezione di perdita del sé è tanto maggiore quanto più compromettente e pervasivo è stato il legame: più io mi sono definito e scolpito attraverso l’altro, più complesso sarà il lutto da elaborare. È chiaro che se la relazione che è giunta al termine verte su un sano senso dell’interdipendenza dove ognuno definisce se stesso solo attraverso se stesso, il lutto da vivere sarà certamente doloroso ma meno complesso, in quanto non chiamerà in causa il dominio identitario. Al termine di una relazione sana, la percezione di sé non dovrebbe cambiare e dovrebbe tradursi più o meno così: io sono me stesso anche senza te, io ho senso anche senza te, io sono degno di stima anche se tu non ci sei. Ma sappiamo bene che non sempre va così».

D'amore ci si ammala, d'amore si guarisce di Ana Maria Sepe e Anna De Simone

Possiamo dire che una storia finisce sempre nel modo in cui è iniziata? Ergo: nel loro inizio, è scritto anche il modo in cui le storie finiranno?
«Sì, dal modo in cui inizia una storia si può capire moltissimo. Sembrerà difficile da comprendere ma solo le relazioni sane sono davvero imprevedibili! Come ho anticipato, la relazione sana si caratterizza per un senso di interdipendenza funzionale che garantisce al contempo unione, quindi vicinanza affettiva, e individualità, quindi affermazione personale. Come spiego nel mio libro, per far sì che ciò accada è necessario soddisfare tutte e quattro le dimensioni dell’amore, che sono: io amo te - tu ami me - io amo me - tu ami te. Troppo spesso trascuriamo quell’amore necessario, da concedere a noi stessi e la coppia nasce proprio sulla base di questa mancanza. Le relazioni che nascono da una mancanza, da un bisogno insoddisfatto, sono sempre prevedibili, se non nell’epilogo - che dipende dal grado di sopportazione e dall’assuefazione al dolore dei componenti della coppia - quantomeno nel decorso che è… di insoddisfazione e sofferenza».

Tornando al «lutto»: come si supera il dolore per la fine di una relazione?
«Tutto dipende dalle ferite che ci trasciniamo dal nostro passato. Quando ci portiamo dentro delle vulnerabilità, ci identifichiamo e fondiamo con l’altro proprio come farebbe un bambino in costante ricerca di protezione e rassicurazione. Solo che per un bambino è naturale ricercare sicurezza, identità e confronto nell’adulto di riferimento, in attesa di costruire il proprio senso di identità, il proprio senso di sicurezza e conforto. Purtroppo, non tutti crescendo imparano ad amarsi e auto-accudirsi. Allora perdere l’altro significa “perdere tutto”. In questi casi, per superare il dolore, non solo è necessario elaborare la perdita ma anche iniziare un percorso di affermazione personale. È necessario rinegoziare i propri bisogni e finanche la propria identità. Un lavoro molto complesso che se viene ancora rimandato, darà vita a un nuovo, e inevitabile, triste epilogo.

In un divorzio spesso ci sono figli di mezzo, come gestire la comunicazione rivolta ai più piccoli? Come fargliela accettare al meglio e con meno dolore possibile?
«I bambini sono in costante ricerca di protezione e rassicurazione. Quindi più che preoccuparci di comunicare bene ai figli ciò che sta accadendo, dovremmo impegnarci a non spezzare quel senso di protezione. È importante sottolineare che tutto ciò che è improvviso e drastico, come un distacco, può innescare nel bambino gli stessi sentimenti di perdita di cui parlavamo prima. Nell’ideale, la separazione dovrebbe avvenire in modo graduale. I bambini, di qualsiasi età, possono accettare un cambiamento graduale. Mai dire a un bambino, soprattutto piccolo “io e papà non ci vogliamo bene più e quindi ci separiamo”. Magari dire “papà ha un’altra casa e anche se non sarà tutti i giorni qui, ti penserà sempre e tu potrai vederlo tutte le volte che vuoi”. E accompagnare a queste parole un graduale allontanamento dell’altro genitore. La priorità dovrebbe essere quella di non stravolgere troppo (o troppo velocemente) la routine del bambino».

Come superare invece l'idea di fallimento che pervade chiunque metta fine a una lunga relazione?
«Anche in questo caso dipende dalle fragilità di fondo. A causa di vissuti infantili  difficili - succede soprattutto per gli adulti cresciuti in fretta, che sono stati bambini adultizzati, cioè persone che fin da piccole hanno dovuto assumersi più responsabilità del dovuto - alcuni di noi, tendono a pensare che il successo o il fallimento di un’impresa, compresa la relazione di coppia, dipenda esclusivamente da se stessi. Non solo si perde l’idea del contesto e della progettualità condivisa ma anche qui scende in campo il dominio identitario. Identificandoci con la coppia, una volta giunti al capolinea potremmo essere accompagnati dall’idea disfunzionale di “essere dei falliti” perché la coppia ha fallito! Chi ha un buon senso dell’identità, ha anche una rappresentazione positiva di sé, pertanto non deve compensare nulla mediante la sua vita di coppia: se la relazione è finita è perché non c’era più benessere nello stare insieme e in questo, non c’è un fallimento personale».